22 maggio, 2007

mio zio

Mio zio, si chiamava Angelo ma per tutti era "il Bagatt" in dialetto lombardo "il ciabattino, il calzolaio".
Era un'anima lunga lunga, un naso adunco che un evidente rossore suggeriva pomeriggi trascorsi all'osteria con gli amici,
due occhi innocenti e trasparenti come solo l'acqua di un ruscello di montagna può essere. Per il suo carattere scontroso e solitario la famiglia lo aveva superficialmente catalogato come un "carattere difficile", relegandolo in un angolo delle relazioni familiari.
Lo zio si alzava molto presto: una tazza di caffè con la napoletana, vecchi abiti da lavoro dalle ginocchia e gomiti sformati, scarponi pesantissimi che si era costruito da solo, grembiule blu annodato in vita e poi lavorava nell'orto dietro casa. D'estate quando, mi alzavo un po' più tardi del solito,e scendevo di corsa a salutarlo, lo trovavo intento alla sua ruspante colazione: 1 bicchiere di vino rosso,pane e fontina o salame d'oca saltato in padella.
Al mio cinguettante saluto rispondeva sempre con un grugnito ed un cenno del capo, ma gli occhi ridevano sempre.Dopo aver lasciato il suo lavoro di ciabattino l'orto era diventato la sua passione e noi bambine, anche se ero io che trascinavo mia sorella, ne appofittavamo allegramente: non c'era nulla di più gratificante che estirpare,lavare alla fontanella,mangiare e poi rimettere di nuovo nel terreno la cima verde delle tenere carotine o cogliere di soppiatto i pomodori che lo zio aveva segnato con un cordino colorato e che avrebbero dovuto servire per la nuova semente.
Un’anima solitaria la cui vita seguiva un ritmo immutabile nelle stagioni e negli anni: la mattina l’orto, il riposo dopopranzo, la passeggiata con il cane e l’osteria con gli amici nel pomeriggio, la cena sempre alle 19 e le persiane che si chiudevano sempre dopo il telegiornale di prima serata.
Quando l’artrosi piegò quella schiena orgogliosa,quando le sue lunghe dita si richiusero su se stesse rendendo impossibile qualsiasi lavoro, quando il suo cane lo lasciò solo per colpa di uno stupido boccone avvelenato,quando il dolore per tutto ciò riuscì a sconfiggere il suo carattere battagliero, mi avvicinai a lui. Scoprii così un uomo fragile e bisognoso d’affetto,incominciai a vedere la dolcezza del suo sguardo, imparai a gustare il piacere degli attimi trascorsi insieme. Quando avevo bisogno di un attimo di pausa dagli studi universitari, lo raggiungevo sulla panchina del nostro giardino, stavamo per lo più in silenzio io a sgranocchiare una mela e lui a rigirarsi le mani;raramente mi parlava di politica ed allora riaffiorava il vecchio partigiano con il fazzoletto al collo.
Il sole scaldava le sue vecchie ossa ed io mi beavo di quel legame silenzioso che era nato fra noi e che troppo presto ci è stato tolto.
Un ictus, improvviso,devastante per il suo orgoglio.
Una settimana d’ospedale dove riaffiorava, a tratti,la sua rabbia per l’atteggiamento irriverente degli infermieri,per dover dipendere da altri per qualsiasi cosa.
Ricordo che sospesi qualsiasi studio per stargli accanto, per fargli capire che non era solo, per cercare di colmare la sua paura di morire con l’amore.
Adesso, quando entro dal mio calzolaio e sento il profumo forte ed inebriante della colla, rivedo solo lo zio che mi fece trovare sul mio comodino un paio di ballerine bordeaux fatte da lui per il mio decimo compleanno, lo zio che rideva guardando mia sorella giocare da piccola, lo zio che piangeva come un bambino per la morte di Berlinguer, lo zio che mi stringeva la mano come se volesse attingere da me la forza per rimanere attaccato alla vita.

18 maggio, 2007

Madri e Figlie

Mi domando come mai essendo ormai una donna adulta, non riesca ancora ad avere un rapporto sereno con mia madre; perchè è così difficile, per una figlia, trovare la stessa armonia che regola il rapporto con il proprio padre?
A papà associo un'adorazione infantile smisurata, un rispetto adolescenziale, un affetto e voglia di protezione quando ho notato il progressivo declino della vecchiaia. Lui è stato il mio primo amore, ancora ricordo il calore della sua mano quando prendeva la mia di bimba. Era una mano forte che sembrava dirmi "con me sarai sempre al sicuro"
Pensando a mamma tutto si fa più contorto,più conflittuale; eppure è una delle persone che stimo di più.
Chiudo gli occhi ed un attimo tornare bambina,
rivedermi correre solitaria con una cartella rossa fiammante sulla schiena mentre un odioso cappello di lana bianco con il pompom traballante mi fa assomigliare ad un buffo coniglio.
Saltare da un prato all'altro schivando agilmente gli escrementi delle mucche al pascolo ( chi non ha vissuto in montagna non può immaginare il terribile rischio che si corre atterrando sullo sterco di mucca apparentemente secco ed innoffensivo) per arrivare a casa velocemente dopo la scuola.
A casa c'era lei con il suo sorriso dolce a chiederti "come è andata la scuola", mentre quella pulce di sorella cantilenava "hai preso benino,hai preso benino!!!" solo per farmi un dispetto.
Lei che mi lasciava libera come un uccellino di esplorare i dintorni: il bosco dietro casa, i frutteti degli agricoltori vicini. Libera di andare a raccogliere il biancospino sul sentiero acciottolato che portava alla chiesetta di S.Antonio abate o di sparire tutto il giorno dalla sig.ra Giovanna ad aiutarla a fare il burro con la zangola.
Se penso a quei miei primi otto anni di vita trascorsi in Valtellina li associo alla libertà più assoluta.
Lei, solo poche raccomandazioni :"stai attenta" " non parlare con chi non conosci", ma, forse, erano altri tempi.
In questo periodo lei era l'idolo femminile, la figura con la quale identificarsi.
Lei sempre scattante, occupata in mille faccende, lei che si alzava molto presto per il suo lavoro, era una sarta meravigliosa e richiestissima, capace di copiare un vestito da una rivista di moda senza il cartamodello. Famose le nostre scorribande nei negozi a provare capotti e pantaloni facendo finta di ascoltare le commesse mentre il suo occhio clinico studiava i tagli e le cuciture e poi, con un sorriso stampato sul viso "grazie ci penseremo..."; ci catapultavamo nel negozio di stoffe dove mi faceva scegliere il tessuto che preferivo. Per 2 mattine, non la si poteva toccare, si chiudeva in sala ed era tutto uno stendere carta velina, tracciare linee colorate, appuntare spilli,tagliare modelli di carta. Solo quando aveva tagliato la stoffa ed imbastito si poteva ricominciare a vivere.
Lei pronta a svegliarsi la mattina con me per essere silenziosa presenza durante i miei ripassi mattinieri al liceo.
Lei che ha cercato in tutti i modi di farmi desistere dalla scelta del liceo "fai la maestra,hai il posto fisso, un buon lavoro e tempo per seguire la tua famiglia" e, soprattutto, di medicina; ma che poi, di fronte alla mia cocciutaggine, mi ha sempre sostenuta, incoraggiata a non mollare anche nel momento di una crisi nera quando mancavano solo due esami alla fine della laurea.
Lei severa e rigida sui punti fissi della nostra educazione,regole di vita che adesso sono molte delle mie.
Lei difficile da sopportare, proprio per la sua coerenza educativa, durante gli anni dell’adolescenza quando, molte volte, la vedevo come nemica.
Tempestosi gli scontri fra di noi, corse folli attorno al tavolo della sala e fughe precipitose giù dalle scale per poi smaltire la rabbia in biciclettate lungo il lago.
Rapporto di amore e odio,identificazione e competizione.
Ed adesso che sono adulta che ho capito che lei sarà sempre uno dei miei punti di riferimento, vorrei tanto che mi accettasse completamente per quella che sono anche se non sono esattamente come avrebbe voluto che fossi, anche se il mio modo di intendere e vedere la vita non è la fotocopia del suo.